Che cos’è un cercatore di funghi? È possibile classificarlo, raccontarlo, spiegarlo. Se questo fosse un vero manuale conterrebbe certamente delle indicazioni in merito, si preoccuperebbe di tracciare dei confini entro i quali il vero ricercatore deve sapersi muovere, non ultime le necessarie conoscenze relative ai funghi. Ma come ho già avuto modo di dire questa non è una guida né io un tecnico o uno studioso di micologia. Su una cosa certamente mi sento di allinearmi ai manuali propriamente detti, questo è sicuro, ovvero sulla necessità di non consumare mai, crudo o cotto, dopo la prova dell’aglio o qualsiasi altra, un fungo della cui commestibilità non si sia assolutamente. E ribadisco ASSOLUTAMENTE, certi. Ma per il resto non mi sento ora ne mi sentirei mai di indicare, moderno Policleto, i canoni ai quali debba attenersi il perfetto ricercatore. Ho passeggiato per i boschi con fungaioli di vario genere, quelli casuali, ma non per questo meno impegnati, quelli abitudinari e scaramantici, che ripetono ad ogni uscita i medesimi rituali e indossano gli stessi vestiti che lo hanno, in un fruttuosa precedente ricerca, coperto dal freddo mentre il cesto andava riempiendosi. E quelli ossessivi compulsivi, categoria a cui mi sento di appartenere, che vivono sei mesi in attesa della stagione e gli altri sei ritagliandosi tutto il tempo possibile, dal lavoro e dagli impegni, per dedicarlo alle escursioni. Così come trovo sbagliato indicare un obiettivo, stabilire il confine tra una ricerca fruttuosa e una disastrosa e, anzi, proprio a cagione di questo, ritengo fuorviante il tentativo di stabilire che cosa debba essere un fungaiolo.
Da noi, in Piemonte, si dice bulaiè, da bulè, fungo, e mi si perdoni il piemontese approssimativo. Un bulaiè è chiunque in un determinato momento si trovi a risalire l’erta di un bosco inumidito dalla rugiada notturna alla ricerca di un fungo, quale che sia quello che conta o spera o si accontenta di depositare sul fondo del cesto, sopra un letto di felci e foglie ancora verdi di castagno. Bulaìè è chiunque voglia diventarlo, quand’anche non fosse capace di trovare nemmeno un fungo velenoso. Perché una volta che ci si è buttati nell’impresa si sta aderendo ad una filosofia, ad una religione a cui è sufficiente credere anche solo per la durata della ricerca.
Da noi, in Piemonte, si dice bulaiè, da bulè, fungo, e mi si perdoni il piemontese approssimativo. Un bulaiè è chiunque in un determinato momento si trovi a risalire l’erta di un bosco inumidito dalla rugiada notturna alla ricerca di un fungo, quale che sia quello che conta o spera o si accontenta di depositare sul fondo del cesto, sopra un letto di felci e foglie ancora verdi di castagno. Bulaìè è chiunque voglia diventarlo, quand’anche non fosse capace di trovare nemmeno un fungo velenoso. Perché una volta che ci si è buttati nell’impresa si sta aderendo ad una filosofia, ad una religione a cui è sufficiente credere anche solo per la durata della ricerca.
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